Un operaio e infermiere di Barga ‘Giusto tra le nazioni’: salvò una donna ebrea dalla fucilazione. Un volume ne ricorda la vita e il gesto eroico





Una storia di eroismo, una delle tante storie di cui è disseminato quel tragico periodo che porto dall’8 settembre del 1943 alla fine della guerra. A riscoprirla la ricerca di Alessandro Affortunati ed Enrico Iozzelli, autori del volume Gino Signori, Giusto tra le Nazioni, l’ultima fatica voluta dall’associazione culturale ‘Per il lavoro e la democrazia’ nella collana di ricerche storiche e sociali in collaborazione con la Fondazione Museo e Centro di documentazione della deportazione e Resistenza di Prato.
Ma chi è Gino Signori, questo eroe di altri tempi, che si è potuto fregiare del titolo di Giusto tra le Nazioni conferitogli nel 1984 dallo Stato di Israele? La sua è veramente una storia tutta da raccontare, che parte nel 1912 a Barga, paese dove nacque mentre suo padre Luigi, pratese di Tobbiana, lavorava nelle cave di marmo. Richiamato sotto le armi nel 1941 mentre lavorava in un lanificio pratese, il 17 settembre del 1943, pochi giorni dopo l’annuncio dell’armistizio, venne fatto prigioniero dai tedeschi e internato ad Amburgo. È lì che prestò la sua opera come infermiere specializzato ed è lì che ebbe modo di far valere tutta la sua umanità. Una sera, infatti, nelle vicinanze di un ospedale si imbattè in una colonna di ragazze ebree. Una di questa veniva minacciata di morte da un militare delle Ss armato di mitra. Gino Signori, invece di lasciare corso al destino, decise di intervenire chiedendo al soldato di risparmiare la donna in campo di qualche sigaretta. Dopo quell’episodio decide di nascondere la ragazza in un anfratto della stanza che era adibita a infermeria dove lavorava. Quando poi fu costretto a trasferirsi altrove fece travestire la ragazza da uomo e continuò a nasconderla fino alla fine della guerra.
Una storia destinata a rimanere fra i ricordi di famiglia senonché, in una delle svolte della storia, nel 1964 riceve una visita inattesa. Quella di un camionista italiano che aveva conosciuto in Cecoslovacchia la donna ebrea da lui salvata, Hana Tomesova, che gli aveva espresso il desiderio di rivedere il suo salvatore. Nel giugno del 1964 si concretizzò l’incontro e si creò un’amicizia che durò fino alla morte.
La storia dell’eroico salvataggio arrivò negli anni Ottanta a conoscenza dell’istituto commemorativo dell’Olocausto, Yad Vashem che, dopo una lunga procedura, nel 1984, il 29 gennaio, portò a conferirgli il titolo di Giusto tra le Nazioni, il titolo che viene riconosciuto ai non ebrei che si sono resi protagonisti di atti di amicizia nei confronti del popolo di Israele. La medaglia gli venne consegnata a Prato il 6 marzo del 1985 in una cerimonia solenne alla presenza del sindaco e del rabbino di Firenze e in cui fu anche letta una missiva inviata da Prima Levi.
Tutta questa storia, e altri aneddoti che riguardano le tragedie cui Gino Signori ha dovuto assistere, è al centro del documentatissimo volume a firma di Affortunati e Iozzelli con la presentazione di Manuele Marigolli e la prefazione di Furio Biagini e che verrà presentato per la prima volta lunedì (8 ottobre) alle 17 al Museo e centro di documentazione della deportazione e Resistenza di Figline di Prato. Dopo i saluti di Aurora Castellani, presidente del Museo della Deportazione e Resistenza di Prato e di Manuele Marigolli, presidente dell’Associazione culturale per il lavoro e la democrazia di Prato parleranno gli autori. Le conclusioni sono affidate alla segretaria generale dello Spi Cgil toscano, Daniela Cappelli.
Il perché di un racconto
Ma perché la necessità di raccontare questa storia? Lo dice a chiare lettere Manuele Marigolli, autore della presentazione e presidente dell’Associazione culturale per il lavoro e la democrazia di Prato: “Gino Signori – dice – era una figura rimasta un po’ dimenticata, eppure ispirata dai grandi valori di pietas umana e di immedesimazione nell’altro che ora sono diventati merce rara in un mondo in cui a vincere è l’egoismo. Questa vicenda, in un contesto in cui la memoria collettiva e la consapevolezza della tragedia della storia anche recente sta venendo meno è la motivazione che ci ha spinto alla pubblicazione del volume. Lo sanno in pochissimi che Gino Signori è uno dei Giusti tra le Nazioni. Un uomo che, come dimostra la sua storia, non ha mai smarrito la bussola dei buoni sentimenti. Oggi, invece, si sta affermando tutta un’altra narrazione ed è proprio in momenti come questi che è necessario che i valori trasmessi dall’esempio di Gino Signori non siano dimenticati”. “La ricerca – spiega ancora Marigolli – è stata possibile grazie agli archivi del Museo della Resistenza e della Deportazione, cui è stata donata dalla famiglia di Gino Signori tutta la documentazione in suo possesso e quella relativa alla nomina di Giusto tra le nazioni. Lo storico che si è occupato delle ricerche, poi, ha rintracciato in Germania alcuni documenti inediti”. “Il volume – spiega ancora – è diviso in due parti: la prima parla della posizione particolare dei soldati italiani internati in Germania. Una condizione che non era quella di uomini liberi, ma neanche quella di un lager o di una prigione. Fu questa particolare libertà di movimento che gli permise di salvare Hana, la ragazza ebrea che stava per essere vittima della follia nazista. In appendice al libro, inoltre, sono pubblicate le sue memorie di guerra e prigionia. Ed è quest’ultimo il solo materiale già edito, anche se introvabile, sulla figura di Gino Signori. Il resto è tutto inedito e frutto di un approfondito lavoro storico”. “Se non si tengono vivi questi valori – è la conclusione di Marigolli – si può riproporre una tragedia. Si deve fare in modo, anche con la memoria, che queste situazioni non si riverifichino”.
Parlano gli autori
“L’idea – dice Enrico Iozzelli – è stata quella di riportare alla luce la storia di quest’uomo, nato a Barga ma unico Giusto tra le nazioni residente a Prato. Gino, inoltre, è l’unico internato militare italiano che ha ottenuto questa onorificenza. Per internati – spiega lo storico – si intendono quei militari arrestati dai nazisti dopo il ’43 portati nei campi di prigionia in Germania. La mia parte del libro è dedicata proprio a questo, cioè a spiegare che tipo di prigionia è stata quella di Gino Signori. In molti, dopo il ’43, sono partiti per i campi della Germania, alcuni nei lager delle Ss, ovvero i deportati, mentre i militari erano nei campi della Wehrmacht. Gino era tra questi. Di professione aveva sempre lavorato nel settore tessile – racconta lo storico – ma sotto le armi ottenne la qualifica di infermiere. Ad Amburgo venne inizialmente mandato in un campo di prigionia e poi successivamente spostato nei gruppi di lavoro inviati in città per lavorare soprattutto nelle industrie portuali. Lui, essendo infermiere e conoscendo anche un po’ di tedesco, lavora sia in ospedale sia come interprete e svolgendo queste due funzioni ha avuto la possibilità di uscire da questo campo dove si trovava a lavorare. Usciva soprattutto dopo grandi bombardamenti, andando a cercare nella zona feriti da portare in ospedale o portava a ricevere le prime cure persone che nel campo stavano male. Pur essendo internato, quindi, godeva di una certa libertà. Per questo la mia distinzione tra internati e deportati è importante nel libro: le tipologie sono molto diverse, se pensiamo all’esperienza nei campi di Primo Levi non è affatto la stessa di Gino. Levi va in un altro sistema di concentramento e di punizione. Gino invece aveva molte opportunità di uscire dal campo per svolgere le proprie mansioni. Grazie a queste, infatti, riesce a conoscere la ragazza ebrea e a metterla in salvo. Un gesto eroico e folle scoperto solo nel dopoguerra e premiato”. “Personalmente l’ho conosciuto – racconta Iozzelli – abitava davanti casa mia ed era amico dei miei nonni. Tra le nostre famiglie c’era un bel rapporto di amicizia. È stato molto particolare lavorare per questo progetto, era un’idea che avevo da tempo, già da un po’ infatti mi ero messo a cercare carte che aveva la famiglia. Quando ho ricevuto la proposta di scrivere questa storia sono stato felice perché in qualche modo ho riportato alla luce i miei ricordi di infanzia. Ero molto piccolo quando lo conobbi, per me Gino era un signore alto, distinto, un portamento, ad essere sincero, che mi incuteva riverenza, quasi terrore. In paese invece dicevano che era una persona molto disponibile e affabile. Dei suoi ricordi di prigionia non ne parlava molto, ma tutti, come mi hanno raccontato, sapevano che non nutriva particolare odio per il popolo tedesco. Certo non era amico delle Ss o di chi lo aveva fatto prigioniero, ma in qualche modo li giustificava. Non provava odio. Aveva una visione molto oggettiva sull’argomento, anche per questo, dopo il gran bel gesto che ha fatto, lo ritengo una persona molto particolare.”. “Al museo della deportazione di Prato – spiega ancora lo storico – c’è una bacheca dedicata a lui, una bacheca contenente oggetti che gli appartenevano: la medaglia originale donata dalla famiglia, la piccola farmacia portatile che utilizzava nei campi con quel poco che poteva mettere dentro, lettere che inviava dalla prigionia. Ecco, un’altra delle differenze tra deportati e internati. Anche se raramente, gli internati come Gino avevano la possibilità di scrivere alla famiglia, vere e proprie cartoline dai lager. È stato bello riportare alla luce un pezzo della mia infanzia”.
“L’argomento di questo libro – spiega Alessandro Affortunati – è abbastanza eccentrico, abbastanza lontano dai miei interessi di storico. Di solito mi occupo e mi sono sempre occupato di storia del movimento operaio e contadino e dell’anarchismo, però, quando qualche mese fa mi hanno proposto di scrivere questa storia, ho accettato subito molto volentieri. Proporre la sua figura in un momento come questo in cui l’intolleranza e l’odio nei confronti dei diversi è all’ordine del giorno mi sembrava importante, un lavoro con un particolare significato. Gino nacque a Barga nel 1921 perché la famiglia – il padre era originario di Montale in provincia di Pistoia – si era trasferita là per ragioni di lavoro. Negli anni Venti però la famiglia si trasferì nuovamente nel pratese dove Signori è sempre vissuto e dove è morto. Non ebbe modo di compiere studi particolari, lavorò alla direttissima, la galleria trans-appenninica tra Firenze e Bologna, e poi in fabbrica per una quarantina di anni”. “Ciò che conferisce un carattere di eccezionalità a questa persona – racconta lo storico – è quanto accadde quando fu sotto le armi. Rispetto ai compagni aveva due vantaggi – come ha spiegato Iozzelli – la qualifica di infermiere, anche se da civile non ha mai esercitato la professione, e poi la capacità di parlare discretamente il tedesco. Si prendeva cura delle vittime dei bombardamenti, godendo quindi di un minimo di libertà di movimento, spostandosi nei sobborghi della città. Andava, insomma, dove c’era bisogno di lui. Quando vide la scena della ragazzina ebrea a terra che stava per essere uccisa da colpi di mitra, come ha scritto lo stesso Signori, sentì un impulso irrefrenabile e la salvò affrontando il soldato. Riuscì a nasconderla nel lager e contemporaneamente aiutò altre giovani donne israelite alle quali diede cibo e assistenza. Lei rimase con Signori fino al momento della liberazione, una storia che ha del miracoloso”.
“Tornato a Prato – racconta – Signori non si fece molta pubblicità, non parlò molto di questa esperienza, un’esperienza che tra l’altro ha segnato notevolmente anche la sua arte. Gino – racconta – divenne infatti un pittore piuttosto noto e quotato e lui stesso disse che la sua arte non poteva essere capita da coloro che non sapevano ciò che aveva passato in Germania. Per venti anni la vicenda rimase in silenzio, ma finalmente, dopo mesi di contatti epistolari, Gino e Hana si sono ritrovati. Quello che colpisce, anche se vale un po’ per tutti i Giusti tra le nazioni, a cominciare da Giorgio Perlasca, è che anche Gino Signori nei suoi ricordi e nelle pochissime dichiarazioni alla domanda ‘Perché lei ha fatto questo?’ ha sempre risposto ‘Perché mi sembrava naturale farlo. Si vive per fare del bene degli altri’. Ecco, questo è il messaggio che Signori ci ha lasciato: fare del bene è naturale, è la violenza e l’odio che sono innaturali. Questa, secondo me, è la vera grandezza di questo personaggio”.
Enrico Pace
Giulia Prete