
Massimo Braccini, segretario generale della Fiom Cgil Toscana e coordinatore sindacale nazionale Fiom per il gruppo Kme, risponde ai duri attacchi ricevuti della dirigenza dell’azienda di Fornaci di Barga, spiegando le ragioni del sindacato che rappresenta e illustrando le ricette che, a suo parere, dovrebbero essere seguite per rilanciare il settore siderurgico locale e l’occupazione.
Braccini, la Kme in un comunicato stampa l’ha accusata di rilasciare “dichiarazioni farneticanti”, domandandole, inoltre, se avesse partecipato alla riunione giusta – quella del tavolo nazionale sindacale sulla vertenza Kme – o se fosse in stato confusionale.
Sono parole dure. Come le commenta?
Ovviamente la mancanza di stile della risposta, va di pari passo con la condizione industriale precaria nella quale si trova l’azienda. Queste parole non significano nulla, non hanno niente a che vedere con i contenuti e, allo stesso tempo, sono il segno del degrado delle relazioni.
C’è una situazione pesante, che conosco perfettamente, e purtroppo la realtà dei fatti non può essere ribaltata da nessuno: sono dieci anni che l’azienda Kme utilizza ammortizzatori sociali e sono dieci anni che è in declino. Ed il declino è stato caricato sulle spalle dei lavoratori, questo è il punto. Si vive in una situazione di incertezza. Sono stati presentati tanti piani che spesso si sono rivelati infondati e che, per fortuna, abbiamo contrastato. Se non l’avessimo fatto, la situazione adesso sarebbe anche peggiore. Per questo, oggi non è più possibile fare errori. Il piano di rilancio ha bisogno di investimenti concreti. Stanno discutendo di quello che vogliono fare, ma per trasformare in realtà quello che si dice, è necessario valutare tanti fattori. Noi manifestiamo preoccupazione, e siamo convinti che questa azienda, che sta perdendo pezzi, debba procedere a un cambio di passo, e farci capire bene quali sono gli investimenti concreti – non quelli evocati – che intende adottare.
Com’è cambiata la Kme nel corso degli anni? Ed in che condizioni si trova attualmente?
Kme era un’azienda con un sistema ben chiaro: tanti reparti che ormai, per la gran parte, non esistono nemmeno più o sono ridotti al lumicino. Pezzi di stabilimento ormai sono vuoti. C’è stato un declino incredibile, mentre altri produttori europei non sono nella stessa condizione. Noi crediamo che questo importante gruppo abbia ancora un futuro, se davvero ci saranno dei grandi investimenti concreti. Loro ci dicono: “abbiamo invertito le perdite”. Sì, ma anche le condizioni finanziarie del gruppo sono complesse.
L’azienda afferma che il piano industriale è stato presentato un anno fa, e che si tratta di un piano “di risanamento e di rilancio”.
C’è l’esigenza di capire che cosa davvero faranno. In parte l’hanno detto, dopodiché noi abbiamo l’autonomia per fare le nostre valutazioni, non è che ci facciamo fare il compitino dalla Kme, non funziona così.
Kme le contesta di chiedere all’azienda ulteriori impegni, “senza però specificare quali, quanto e perché”.
Perché? Perché per rilanciare un’impresa ci vogliono investimenti. E quindi bisogna che ci sia, a mio avviso, un piano più strutturato, organico, che abbia a fondamento come si recuperano le protezioni necessarie volte a rigarantire l’occupazione che in parte è già fuori dall’impresa dato che un bel po’ di lavoratori lavorano nella social valley. Perché tutti possano ritornare a una condizione certa, bisogna che le produzioni che attualmente sono di determinate tonnellate, siano molto più alte, altrimenti il rapporto occupazionale non c’è, e questo determina anche un altro problema: quando un’azienda comincia ad avere una condizione di dimagrimento, ne risente enormemente anche tutto il sistema degli appalti, dell’occupazione indiretta che già è venuta a mancare. C’è proprio uno spogliamento dello stabilimento di Fornaci di Barga: se in passato entravano 1500 persone, oggi ne entrano un terzo, quindi non c’è la stessa situazione. Poi, se guardo il gruppo nella sua interezza, vedo che certe società sono state in alcune parti cedute, e quindi c’è un dimagrimento. Noi, invece, abbiamo interesse a che il futuro del rame ci sia, vogliamo che questa azienda riprenda quota. In questo senso, le linee che stanno tracciando non mi convincono.
A proposito del rame, facciamo un passo indietro. Nel 2015 Kme annunciò che avrebbe abbandonato questa produzione, per dedicarsi alla coltivazione agricola idroponica. Poi, invece, la marcia indietro. Cos’è successo?
Questa domanda andrebbe posta all’azienda, ma è senza dubbio uno degli ulteriori problemi. Questo annuncio ha fatto perdere clienti. Hanno fatto credere che il futuro potesse essere un altro, con garanzie occupazionali. Hanno anche illustrato dei piani di sviluppo, dato garanzie, ed alla fine eccoci qua. Siamo a rincorrere una ripresa che parte non dal punto in cui eri, ma ulteriormente indietro. Questo per dire che le analisi non le indovinano spesso. Detto questo, io credo che dal confronto delle idee possano nascere migliori condizioni. Noi in questi anni, in Toscana, abbiamo gestito migliaia di accordi, ed anche dove non avevamo la stessa idea di impresa, per fortuna abbiamo costruito migliori condizioni. Ritengo necessario che il gruppo Kme cambi la propria linea e metta in evidenza più chiaramente qual è la prospettiva che intende perseguire. Anche perché noi crediamo che il rame in questo paese possa ancora avere un futuro.
E sull’ipotesi di inceneritore per pulper di cartiera, che giudizio dà?
È un’ipotesi che hanno ventilato, mettendo in evidenza che potrebbe garantire un risparmio energetico, dato che l’azienda ha il problema, come tutti in Italia, dell’energia che costa di più rispetto ad altri paesi. Dovremmo valutarla, capirla, ma su questo per ora non mi esprimo. Mi interessa però capire quale sarà il futuro dell’industria del rame.
Parliamo dei lavoratori di Kme. Una parte di loro si è dovuta trasferire a Campo Tizzoro. Cosa ci può dire della loro situazione personale e lavorativa?
Si tratta di un centinaio di operai che sono sempre stati all’interno di un industria, e che adesso si ritrovano in un’altra situazione, con altre condizioni lavorative. Per questo dobbiamo batterci perché si verifichino tutte le condizioni necessarie affinché possano ritornare nello stabilimento di appartenenza, come è del resto previsto. Però, quando rientreranno, un conto è riuscire a fargli trovare un terreno produttivo pronto, che ha allargato la produzione e l’occupazione esistente, un altro conto è se questo non avviene. A quel punto avremmo un problema. Conta tanto come si svilupperà da qui al prossimo anno l’impresa. Però la partita è adesso. Non possiamo aspettare il termine di un percorso che è garantito dagli ammortizzatori sociali. Questi lavoratori, non lavorano normalmente, ma sono accompagnati ancora oggi dagli ammortizzatori. Hanno quindi anche un salario ridotto e, ovviamente, un’incertezza. Per questo, l’azienda deve anche riportarsi nelle condizioni di stabilità con le sue gambe, non può continuare ad affidarsi agli ammortizzatori sociali.
Lo stabilimento di Fornaci, a mio avviso, ha tutte le potenzialità necessarie, ma mancano gli investimenti ulteriori per un rilancio del settore a tutti gli effetti. So che a questo proposito l’azienda dirà che in parte ci stanno provando. Sicuramente hanno messo in campo una strategia, ma dal mio punto di vista non è sufficiente.
Massimiliano Piagentini