Il 2020 è l’anno dell’ambiente. Ma bisogna partire dalle scelte individuali

Mobilità, acquisti, alimentazione: il rischio è predicare bene e razzolare male
Il 2020 è appena iniziato e lo ha fatto all’insegna dei soliti dibattiti e le solite polemiche. Ma c’è una questione che, prima fra tutte, dovrà caratterizzare non solo l’anno ma un intero decennio.
Si tratta del tema dell’ambiente. La seconda metà dell’anno appena concluso ha visto sempre di più crescere le manifestazioni per il futuro del pianeta, animate soprattutto da giovani e giovanissimi sull’esempio di Greta Thunberg. Il 2020, da questo punto di vista potrebbe rivelarsi un anno cruciale, a patto che si agisca, oltre che sui sistemi economici dei singoli paesi, anche sui comportamenti individuali.
E in questo senso non si possono non evidenziare alcune contraddizioni, emerse anche nel periodo delle feste.
La prima, l’illuminazione natalizia. Senza dubbio le città e i paesi durante le festività possono risultare più belli e attrattivi con una illuminazione che arricchisce il fascino dei monumenti. Ma, a dispetto di quanto si è spesso professato, per realizzare una illuminazione di questo tipo c’è sicuramente da pagare un prezzo in termini energetici. E quindi di ambiente. Chi, insomma, combatte per il clima dovrebbe anche fare i conti con l’impatto che installazioni di questo genere hanno. Accendere una o più lampadine, insomma, non è certo a impatto zero. E l’energia non la produce un interruttore che si accende o si spegne. Ma fonti che, per la maggior parte, producono Co2, quindi inquinamento.
Sempre in tema di festività natalizie, anche se può sembrare un’inezia,la pista di pattinaggio di piazza Napoleone viene alimentata, per il mantenimento della temperatura del ghiaccio, da un motore diesel. Alla faccia delle limitazioni per il superamento dei livelli di guardia delle Pm10.
Sempre quanto a comportamenti individuali non può essere passato inosservato il superlavoro di queste settimane dei corrieri per consegnare pacchi e regali nelle case del centro e della periferia. Potere di Amazon e di siti affini che in poco tempo recapitano a casa merci acquistate direttamente sugli scaffali virtuali via web. Tralasciando per un momento il tema del lavoro (per prendere coscienza basterebbe vedere l’ultimo film di Ken Loach) è del tutto evidente che la movimentazione dei mezzi, a tutte le ore del giorno, per consegnare i pacchi, non può che contribuire ad aumentare l’inquinamento delle città e dei paesi.
A patto, ovviamente, che l’alternativa non sia lo spostamento di massa in auto verso centri commerciali e supermercati. Anche in questo senso i comportamenti pubblici e privati molto potrebbero fare: incentivare l’uso dei mezzi pubblici, non favorire lo spostamento con le auto private, soprattutto da e verso i centri storici con la realizzazione di parcheggi, rendere piacevole ed economico (al di là dei benefici effetti per la salute) lo spostamento a piedi o in bicicletta, introducendo forme di bike sharing o simili. Incentivare, infine, invece di sottoporre il tutto a oneri e costi difficilmente sostenibili, l’autoproduzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e l’isolamento termico delle abitazioni, praticamente inesistente negli edifici del comune capoluogo
Non mancano, e bisogna farci caso, le contraddizioni anche nell’alimentazione. La ‘moda’ del cibo etnico ha come contraltare l’arrivo di generi alimentari provenienti da lontano e quindi con spostamento di uomini e mezzi che non è certo carbon free. A meno di non voler pensare che i tanti ristoranti esotici che esistono sul territorio siano tutti forniti di cibo (e di arredi) a chilometro zero.
Ultimo, ma non per importanza, il tema dei rifiuti. Dedicato a chi pensa che sia una scelta neutra quella di non differenziare il materiale di scarto. Salvo poi lamentarsi per il parco non pulito, per il fiume inquinato, per il proprio giardino trasformato in discarica abusiva. Quando si dice predicare bene e razzolare malissimo.
Tutte questioni, queste, che fanno capire come siano anche i comportamenti individuali a orientare le scelte collettive. Scelte che servirebbero a combattere anche quel negazionismo diffuso secondo cui il pianeta resisterà allo sfruttamento dell’uomo.
A dire che non sarà così ci pensa la scienza. E per avere qualche dato basta spulciare l’ultimo numero dell’inserto Robinson di Repubblica. Fra tutti il rischio di sparizione di tratti di costa in Italia, l’aumento di fenomeni di migrazione per cause climatiche, l’aumento della mortalità causata dall’inquinamento e delle malattie mentali.
O, per chi volesse fermarsi alla cronaca, basta leggere i resoconti provenienti dall’Australia di queste settimane: l’estate più calda della storia e un paese devastato dagli incendi.
Ma, senza scomodare Trump e sovranisti, Putin e la Cina, una prima inversione di tendenza parte dal comportamento di ciascuno di noi. A patto di voler pensare con un’ottica di lungo periodo e non, come spesso succede, alla convenienza del momento o alle emergenze.