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Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca

25 novembre 2021 | 17:06
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Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca
Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca
Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca
Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca
Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca
Codice rosa, in 11 mesi 120 casi seguiti in provincia di Lucca

Il 90% delle vittime è donna, la maggior parte ha più di 60 anni. I dati al centro delle iniziative contro le violenze

Sono stati 120 gli accessi al Codice rosa in provincia di Lucca dall’inizio dell’anno. Centoventi persone, al novanta per cento donne, che si sono recate ai pronto soccorso del San Luca e del Santa Croce in Valle del Serchio per chiedere aiuto perché vittime di violenza. Violenza che non è solo fisica – anche se lo è nel 60% dei casi – ma che per lo più è psicologica, una violenza “pulita”, la chiamano, perché invisibile agli occhi di chi non è abbastanza formato per leggerla, ascoltarla e gestirla.

“La violenza fisica, che può spingersi oltre, fino ad arrivare all’estremo, è solo l’ultimo tassello di un percorso che parte con il controllo e con l’umiliazione – spiega Piera Banti, medico responsabile del Codice Rosa -. Per questo è importante avere sul territorio dei punti di ascolto e accoglienza con personale appositamente formato, che aiuti la vittima a ogni livello, dalla fase della consapevolezza dell’abuso alla fase giuridica. Dal 2006 al 2011 in provincia di Lucca ci sono stati 10 femminicidi, da quando è attivo il codice rosa abbiamo avuto solo 3 casi in 9 anni. Certo, con la pandemia gli accessi al pronto soccorso sono calati di un terzo, perché molte donne con il lockdown hanno avuto difficoltà ad accedere ai servizi, tante hanno perso il lavoro o si sono ritrovate a lavorare da casa, sotto il controllo del marito o compagno violento. Ma non le abbiamo perse. Sono aumentate le richieste agli help line delle associazioni e della polizia di stato, abbiamo trovato un altro modo per raggiungerle. Chi sono queste donne? Siamo abituate a pensare che siano esclusivamente giovani, ma il 39 per cento di loro ha oltre 60 anni. Donne che subiscono violenza da parte delle persone che dovrebbero prendersi cura di loro, dai mariti ai care giver. Abbiamo però avuto anche tanti casi di donne giovani che hanno subito violenze sessuali o casi di ‘wife rape’, l’abuso fisico all’interno di coppie sposate”.

È da questi numeri, da chi li associa tutti i giorni a dei volti, che bisogna partire per raccontare la giornata internazionale della violenza contro le donne che questa mattina (25 novembre) ha preso a Lucca la forma di due presidi, uno sotto il loggiato di San Michele, l’altro a Castelnuovo. Presidi voluti dall’Azienda Usl Toscana nord ovest in collaborazione con le commissioni pari opportunità dei comuni, dell’ordine dei medici, della Provincia, con la polizia di stato e con associazioni come Fidapa e Soroptimst. Qui gli operatori hanno distribuito le rose e le spille che i medici di Lucca, grazie all’iniziativa ‘soccorso rosa’ indossano, a certificare la loro formazione per accogliere casi di violenza mentre le forze dell’ordine hanno distribuito la brochure per il servizio antiviolenza e stalking, attivo al numero 1522 (clicca qui per scaricare l’opuscolo con i dati 2021) . Presenti sotto il loggiato anche il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini, il prefetto Francesco Esposito, la questora Alessandra Faranda Cordella, l’assessora Ilaria Vietina, i ragazzi della 5A del Giorgio, una rappresentanza di studenti del Pertini e le associazioni che si occupano della violenza causata da discriminazione, da Luna a Maschile plurale. Tra loro anche i genitori di Vania Vannucchi, l’operatrice sociosanitaria bruciata viva dall’ex nel piazzale di Campo di Marte.

“Solo negli ultimi giorni ci sono stati quattro femminicidi – ha ricordato il prefetto di Lucca in un intervento esemplare -. Se vogliamo evitare che il 25 novembre sia la ‘giornata della ricorrenza’ dobbiamo chiederci cosa fare per fare di più. È evidente che questo non basta se abbiamo la legislazione più bella d’Europa ma 109 vittime di femminicidio in un anno. È evidente che il nostro paese è vittima di un ritardo culturale: solo quarant’anni fa è stata abolita la causa d’onore. La nostra è una cultura patriarcale dalla quale ci siamo liberati solo dal punto di vista legislativo ma non ancora da un punto di vista sociale. La violenza che nei casi estremi sfocia nel femminicidio non è legata a un raptus. È un fenomeno che sta nelle relazioni sociali, vive nel sistema di educazione sociale”.

“In questi giorni in parlamento si sta discutendo di inasprire le pene per questo tipo di reati. Giustissimo. Ma la repressione non può bastare – ha aggiunto Esposito -. Noi dobbiamo capire che questi fenomeni camminano di pari passo con la parità di diritti tra uomo e donna, che riguarda ciascuno di noi e che è insita in una cultura che dobbiamo cancellare, che spesso dà i primi segnali all’interno delle famiglie. Allora superiamo il detto ‘i panni sporchi si lavano in casa’, perché se questi panni sono sporchi di sangue allora va valorizzato il ruolo di controllo sociale. Non possiamo affidarci solo al penale o alla repressione. Proporrò ai sindaci di utilizzare i gruppi di controllo di vicinato per segnalare questo tipo di situazioni di disagio. Perché noi lavoriamo tutti i giorni per scovare il sommerso ma all’atto finale si arriva per gradi. Con la colpevolezza della donna che non denuncia perché ci sono i figli, perché c’è dipendenza economica. Noi dobbiamo occuparci di più della fase di assistenza della donna, solo la sicurezza di una casa e di un supporto finanziario può dare la garanzia di denuncia”.

Ma la violenza di genere, che molto spesso avviene all’interno delle mura domestiche, non riguarda solo le fasce sociali più fragili, come ricordato dalla questora. “Cambia la modalità ma non la violenza in sé – ricorda -. Noi costantemente vediamo casi di donne disperate, legate a un’idea di amore sbagliata -. Per questo c’è necessità di fare prevenzione, non solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti. Sarebbe bello immaginare uno sportello di assistenza psicologica anche per gli uomini che riconoscono in loro il problema del disvalore, a Lucca in questo siamo ancora carenti”.

A parlare sono stati poi alcuni studenti e studentesse con letture dedicate al tema, dopo aver fatto un tour cittadino accompagnati dalle istituzioni e dalla Cgil di Lucca nei luoghi eletti a simbolo della lotta alla violenza di genere. Infine la presidente di Fidapa Lucca Emiliana Martinelli ha consegnato i riconoscimenti per l’impegno nell’equità di genere e il bene comune mentre e le socie dell’associazione hanno letto la Carta dei diritti della Bambina. I riconoscimenti sono stati assegnati a Vittorio Armani, per anni direttore di Confindustria Toscana Nord, per il “suo impegno nel rispetto e nella valorizzazione del ruolo della donna nell’ambito lavorativo”, e a Angelo Albero, per il” suo impegno quotidiano nel contrasto alla violenza di genere, condotto attraverso un’azione educativa capillare, mirata a sensibilizzare gli uomini sulla parità di genere, grazie all’attività del gruppo Maschile Plurale di Lucca”. È stata inoltre consegnata una targa per ricordare alla città Nara Marchetti, una donna che si è per tutta la vita battuta contro ogni violenza: giovanissima staffetta partigiana e grande figura di riferimento per l’Istituto storico della resistenza di Lucca.