
Cave, il ricorso al Tar di Confindustria non piace a Legambiente che passa all’attacco: “Agli imprenditori – spiega – non basta il Far West, vogliono anche lo sceriffo complice”.
“Nel ricorso al Tar – spiega Legambiente in una nota -, gli imprenditori non si limitano a rimpiangere i bei tempi andati, quando i comuni sanavano a posteriori le loro inadempienze, ma si atteggiano a vittime di un sopruso, lamentando il fatto che, con l’articolo 58 bis, sarebbe stato tradito l’affidamento fiduciario, nella prassi fino ad ora sostanzialmente contemplato. I ricorrenti, cioè, constatata la tiepida condotta di certi comuni che chiudevano un occhio, si sarebbero convinti della piena liceità dei loro sconfinamenti. Come se l’automobilista, reiteratamente non sanzionato per essere passato col rosso, pretendesse di averne acquisito il diritto e, una volta multato, ricorresse al giudice perché non ne capisce candidamente la ragione. Analogamente, nel ricorso al Tar si contesta la disposizione dell’articolo 58 bis che impone ai comuni di adeguare, ove necessario, le autorizzazioni rilasciate, conformandole al progetto di coltivazione autorizzato. Ribadire un’ovvietà, e cioè che si può scavare solo entro il perimetro autorizzato nel piano di coltivazione, non sarebbe, a loro dire, un semplice richiamo alla legalità, ma una modifica restrittiva dell’autorizzazione già rilasciata. Confindustria contesta infine la sproporzione della sanzione perché le difformità di 1.000 metri cubi sarebbero irrilevanti e facilmente superabili senza accorgersene, date le note tolleranze delle macchine da taglio! Come se si potesse scavare un volume pari a un cubo di 10 metri di lato, che richiede qualche mese di lavoro, senza rendersene conto. La spudoratezza dell’argomentazione è poi ancor più evidente se si considera che è mossa da aziende che hanno scavato in difformità volumi ben maggiori (da 10.000 a 70.000 m3). A dispetto delle argomentazioni capziose dei loro avvocati (infrazioni procedurali, eccesso di potere, carenza di motivazione, violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto, illogicità manifesta e, addirittura, incostituzionalità), il senso delle pretese addotte dal Ricorso è chiarissimo: rivogliamo il Far West, quando facevamo i nostri comodi; l’art. 58 bis, mettendo fine a tutto ciò, è un sopruso che viola i nostri diritti, acquisiti sul campo. Se non comportasse la perdita del posto di lavoro dei cavatori, argomento invece che ci è molto caro, verrebbe proprio da chiedere alla Regione il ritiro del 58 bis, con conseguente decadenza delle autorizzazioni e chiusura definitiva delle cave coinvolte. Auspichiamo pertanto che il Tar respinga per manifesta infondatezza l’ingrato ricorso di Confindustria e delle 27 cave carraresi che, comunque, per le pretese evocate, resterà agli annali come un’onta indelebile sull’imprenditoria lapidea locale”.