Dramma in carcere: ‘Mio padre non doveva essere in cella’

“Le condizioni di mio padre non erano compatibili con la sua permanenza in carcere”. A dirlo, a pochi giorni dal dramma che si è consumato nel carcere di Lucca, è la figlia di Massimo Tamagnini, 55enne originario della Garfagnana ma da tempo residente a Lucca. La famiglia vuole chiarire tutti gli aspetti di questa tragedia e per fare luce su quanto accaduto servirà una inchiesta approfondita per capire se ci sono responsabilità in quel decesso, avvenuto all’ora di pranzo del giorno di Santa Stefano. Massimo, come ricostruito, che si occupava della distribuzione dei pasti ai detenuti, era appena tornato nella sua cella quando si è accasciato. E non c’è stato nulla da fare per lui quando sono arrivati i sanitari. Era già cadavere e non è restato che trasportarlo all’obitorio.
Dell’evento è stato avvistato il pubblico ministero di turno, Antonio Mariotti, che ha aperto un fascicolo contro ignoti e disposto l’autopsia. L’esame del cadavere si è tenuto ieri (29 dicembre) alla presenza del medico legale e dei tecnici di parte. Da quest’ultima sarebbe emerso che l’uomo è morto per una emorragia cerebrale. Quello che la magistratura vuole chiarire, a questo punto, è se ci sono eventuali responsabilità nel decesso. Quello che la famiglia recrimina sono le condizioni di salute dell’uomo, che non sarebbero state compatibili con la detenzione in carcere. Massimo era lì da un anno e mezzo ma a gennaio ci sarebbe stata un’udienza importante per ottenere misure alternativa per scontare il residuo di pena. “Più volte – dice la figlia Michelle – era stata prodotta la documentazione dal nostro avvocato che attestava una situazione non compatibile con il carcere, ma nonostante questo il giudice ha deciso di mantenerlo in cella. Era malato di diabete e al San Giorgio non poteva essere adeguatamente curato perché non c’era dieta adatta, poi aveva una cirrosi epatica e altri sintomi che ne rendevano ancor più dura la vita dietro le sbarre”.