Aspettando il prossimo terremoto, i consigli dell’Ingv



Dopo l’esercitazione della protezione civile sul rischio sismico e quello idrogeologico, che ha tenuto impegnati i volontari della protezione civile per due giorni in tutta la Garfagnana, Ilserchioindiretta.it è andato a parlare con Carlo Meletti, geologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulvanologia e responsabile nazionale del rischio sismico. Abbiamo cercato di capire dove c’è ancora da intervenire in Garfagnana, cosa c’è ancora da fare. Ne esce un in quadro cautamente ottimistico per quello che è l’impegno che l’uomo può mettere nella prevenzione, nei confronti di un evento che comunque rimane sempre imprevedibile in termini di tempo, luogo ed energia liberata.
Quali sono le vulnerabilità del territori?
“Le principali sono gli edifici. Noi abbiamo in tutta Italia e non solo in Garfagnana, degli edifici molto vecchi per i quali, se non sono stati fatti degli ammodernamenti nel tempo dal punto di vista sismico, è difficile capire cosa accadrà. In passato sono state fatte delle iniziative per incentivare l’adeguamento alle norme sismiche. Sono quegli accorgimenti che ad esempio in Lunigiana nel 2013 hanno fatto si che i danni siano stati minori di quelli che ci aspettavamo. Sugli edifici comunque si può intervenire”.
Quali sono gli strumenti?
“Dall’anno scorso in Italia c’è il Sisma Bonus, uno strumento importante non solo che permette di recuperare fino all’85 per cento dei costi, ma soprattutto è stata introdotta la facilitazione per cui non si devono anticipare le spese, perché attraverso la cessione del credito di imposta le ditte anticipano i costi vivi, però è poco pubblicizzato, questo si recupera in 5 anni. Ecco, questa potrebbe essere la cosa da fare prima del prossimo grande sisma”.
Come operare?
“Dipende dall’edificio. Ad esempio una delle azioni più semplici sugli edifici più vecchi in muratura è di mettere le catene di ferro da parta e parte che in caso di sisma riescono e tenere unite le varie parti dell’edificio nonostante lo scuotimento è quindi si evita il controllo degli edifici. Sul cemento armato ci sono già degli interventi diversi che permettono di far reggere gli edifici alle scosse simiche. Quando crollano questi edificio è perché non sono stati legati bene travi e pilastri. Oggi si usano molto le fasce di fibra di carbonio che vengono messe al di sotto dell’intonato sugli angoli per tenere insieme le varie porzioni di strutture. Poi c’è la questione del peso: per anni si tendeva a fare strutture pesanti, poi si è visto che non era la soluzione, da qui è nata l’idea di alleggerire le strutture ad esempio si è cominciato a fare i tetti in legno. Il tipo di intervento dipende dal tipo di edificio, da come è stato costruito.
Altra questione sono i Ponti. Durante i terremoti più forti degli ultimi decenni in Italia, spesso abbiamo visto che i soccorsi sono stati rallentati per i ponti crollati, c’era la difficoltà oggettiva di raggiungere le zone colpite dal sisma, questo problema si è registrato anche nel terremoto di Amatrice. In Garfagnana quale è la situazione: i ponti reggerebbero a un eventuale sisma?
“Al momento non sono in grado di dirlo. Di sicuro posso dire che quando si parla di ponti, strade, edifici pubblici si deve andare ad uno scalino più in alto, perché la loro resistenza riguarda tutto il territorio, in senso più vasto. Queste strutture come scuole, ospedali, caserme, municipi devono rimanere in piedi per permettere da subito di far scattare la macchina dei soccorsi. Non so, perché non è una questione di cui si occupa direttamente l’Ingv, se sono stati fatti studi sui ponti in Garfagnana. Ma diventa importantissimo che rimangano in piedi, perché prima arrivano i soccorsi e più aumentano le possibilità di trovare persone ancora vive sotto le macerie. I comuni però sanno quali sono le strutture che devono rimanere in piedi, anche se qui gli interventi non possono essere dei soli comuni ma bisogna andare anche a livelli più alti nelle istituzioni, perché intervenire su un ponte o strutture pubbliche richiede anche uno sforo economico importante”. (In Garfagnana sia grazie ai finanziamenti regionali che dello Stato nel corso degli anni su scuole ed edifici pubblici in genere secondo quanto dichiarato in varie occasioni dagli amministratori sono stati fatti molti lavori di adeguamento sismico ndr)
Quali altre criticità dal punto di vista simico presenta il territorio della Garfagnana?
“Le altre criticità sono i rischi indotti. Le frane e l’assetto idrogeologico. Indotti perché il terremoto può andare a modificare la conformazione del territorio e quindi indurre cataclismi come movimenti franosi o esondazioni. Un territorio come quello della Garfagnana, dove le frane esistono a cose normali, se arriva un forte terremoto, questi fronti possono mettersi in moto accelerando il movimento franoso. Lo abbimo visto nell’Italia centrale che le frane possono arrivare addosso alle abitazioni od ostruire strade e fiumi, causando in quest’ultimo caso esondazioni perché modificano il letto del corso d’acqua. Anche sulle frane quindi bisognerebbe fare prevenzione prima che arrivi un sisma, mettendole in sicurezza anche perché questo comporta un vantaggio anche per il territorio, a prescindere dal sisma”.
Quale è la situazione delle faglie della Garfagnana? Un anno fa (leggi qui) ne parlammo sempre con Lei: è cambiato qualcosa dal punto di vista scientifico, si è scoperto qualcosa di nuovo?
“No non è cambiato molto. Tutto l’Appennino si muove: sono movimenti molto lenti che si osservano solo con il gps, un centimetro o poco più all’anno. Da migliaia di anni c’è questo movimenti che in Garfagnana ha creato il bacino del Serchio tra Appennino e Apuane, una grossa struttura che potenzialmente può rompersi. Per trovare un terremoto forte come quello del 1920, bisogna andare indietro nel tempo anche se la nostra capacità di interpretare i terremoti del passato, attraverso i documenti è molto limitata. Quindi un movimento vecchio di migliaia di anni. Questa evoluzione del movimento tra Appennino e Apuane continua. Alle volte la struttura si rompe. Noi difficilmente possiamo sapere quale faglia si romperà. Sappiamo che nella Garfagnana ci sono faglie che danno storicamente più problemi e altre più calme ma non possiamo sapere quando e dove si romperà. Storicamente, di terremoti che hanno prodotto degli effetti ne abbiamo avuti diversi: intorno al 1481, 1640 a Barga, 1730, 1834, 1837, però dove sarà il prossimo non lo possiamo sapere. Per questo insistiamo che è importante fare opere di prevenzione ed è sempre una corsa contro il tempo”.
La macchina del volontariato è efficiente, è addestrata, si potrebbe migliorare?
“Di questo parlo volentieri perché noi dell’Ingv siamo tra i promotori dell’inizitiva Io non Rischio e siamo formatori dei volontari. Credo che noi in Italia abbiamo un volontariato che soffre pochi paragoni in Europa, ci sono molte associazioni che sono sempre pronte. La questione importante è che quando arrivano nuovi giovani hanno bisogno di nuova formazione e noi li dobbiamo preparare. Ovviamente ci sono anche i volontari già specializzati, ci sono quelli del 118, quelli della Prociv, questa macchina della protezione civile credo che sia una della poche certezze che abbiamo ovvero quella che c’è un meccanismo in grado di mettersi in moto da subito, in modo capillare, su tutto il territorio nazionale. Poi, essendo del posto, queste perosne hanno un valore aggiunto: sanno dove intervenire, come, quando, conoscono le criticità del territorio e centri abitati. Per questo noi continuiamo a fare formazione e iniziative divulgative come Io non rischio, che oltre a informare la popolazione sono anche formative per i giovani volontari”.
Gabriele Mori