Un convegno per presentare i risultati della fusioni dei comuni toscani che hanno intrapreso questa strada negli ultimi anni e i risultati sono interessanti e potrebbero rappresentare soluzioni valide anche per i territori della Garfagnana.
E’ stata la ricercatrice Irpef Sabrina Iommi ad illustrare il suo lavoro, ricordando che la frammentazione genera diseconomie, una cattiva allocazione delle risorse, che servono soprattutto per il funzionamento della macchina amministrativa. Le risorse umane disponibili spesso sono di bassa qualificazione ed avanti negli anni, non in grado di far fronte alla crescente complessità.
“La frammentazione si affronta con un mix di vincoli, opportunità, incentivi – ha sottolineato Iommi – Il risultato è frutto di un equilibrio tra questi tre fattori”. Il vincolo è dato dall’esistenza di una normativa che, in certi casi, rende obbligatoria per i comuni più piccoli la gestione associata delle funzioni fondamentali. Il problema è che da sette anni la data di obbligo slitta di un anno ad ogni legge Finanziaria. Su lato delle opportunità, nelle fusioni dei comuni il tema più controverso è il conteggio dei voti nel referendum consultivo, se deve avvenire cioè per singolo comune o nel complesso del territorio. Nel primo caso il comune più piccolo ha una sorta di potere decisionale. Nel secondo gli incentivi sono diversi. Le unioni dei comuni toscane nel 2015 hanno ricevuto in media 500mila euro ciascuna. Le fusioni ricevono risorse importanti, sia di livello nazionale, il 40 per cento di trasferimenti erariali ricevuti nel 2010 per dieci anni, che regionale, 250mila euro per cinque anni. Un Comune che raggiunge dodicimila abitanti nel 2013 ha ricevuto 1 milione e 300mila euro. “Sulle fusioni la Toscana è stata una delle regioni più vivaci a livello nazionale – ha rilevato Iommi – I referendum sono stati 22, la metà con esito positivo. I numeri sono però modesti rispetto ai potenziali beneficiari”.
Quelli che hanno avuto esito positivo presentano caratteristiche comuni (stesso ambito socioeconomico, una storia di collaborazione alle spalle, distanza, superficie ecc), ma nessuna di queste di per se è garanzia di successo.
I focus group sono stati cinque: Amiata, Elba, Lunigiana, Valdarno Superiore, cui hanno partecipato sindaci, assessori, rappresentanti delle categorie economiche, associazioni, comitati locali e associazioni.
“Abbiamo registrato una polarizzazione tra le opinioni degli amministratori locali e quelle delle imprese – ha sottolineato Iommi – E’ un campanello di allarme: l’attuale assetto istituzionale confligge con la realtà delle imprese”. I primi individuano la causa del fallimento del referendum nelle paure dei cittadini. I secondi mostrano una diffusa sfiducia nella capacità dei governi di riformarsi da soli, per iniziativa di quella stessa classe di amministratori locali che viene penalizzata dalla diminuzione del numero di cariche disponibili. Dalle interviste emerge chiaramente la distanza tra la visione degli amministratori e quella delle imprese: gli enti locali nel loro assetto e funzionamento attuali vengono percepiti sempre più dalle imprese non come un “alleato” per la promozione di processi di sviluppo locale, ma come un ostacolo. Se il problema fondamentale è superare il timore dei cittadini del Comune più piccolo di finire marginalizzati, è necessario dare maggiori garanzie in questo senso, prevedendo in proposito misure di diversa intensità: si potrebbe introdurre un vincolo di destinazione per almeno una parte degli incentivi finanziari alla fusione, oppure una parte delle risorse finanziarie potrebbe essere riconvertita in assistenza tecnica specialistica per la redazione di un progetto molto dettagliato del nuovo Comune o ancora si potrebbero prevedere accordi con i soggetti responsabili degli altri servizi territoriali posta, scuola, carabinieri, finalizzati a mantenere l’offerta esistente o a riorganizzarla solo in accordo con la popolazione.
Al convegno è intervenuto anche il presidente del consiglio regionale Eugenio Giani che ha aggiunto. “In una Toscana – ha detto Giani – che si fa laboratorio per l’aggregazione dei piccoli comuni ci credo. Nella scorsa legislatura ci sono state nove fusioni. In questo primo spazio di legislatura stiamo lentamente andando avanti, anche con soluzioni giurisprudenziali innovative, come nel Casentino. Dove possiamo arrivare? Ragionevolmente penso a duecentocinquanta, duecentocinquantacinque comuni”.
Ad aprire la discussione sui contenuti emersi dalla ricerca è stato Matteo Biffoni, sindaco di Prato e presidente di Anci Toscana, che ha sottolineato la necessità di ripensare la complessiva identità istituzionale della nostra Regione. “Non è solo fusione sì, fusione no – ha rilevato – Al cittadino che ha paura di perdere il contatto con il proprio sindaco o assessore, l’amministratore che crede in una certa soluzione, per il bene della sua comunità, deve sapere spiegare e chiarire. Conservare è più semplice, L’innovazione è sempre complessa”. In questa prospettiva Biffoni ha ribadito la scelta di Anci di affidarsi a processi solo su base volontaria.
Secondo Andrea Sereni, presidente di Unioncamere Toscana, la diversità di opinioni fra imprese e amministratori sulle fusioni nasce dal fatto che l’impresa guarda ai costi e all’utile, mentre gli amministratori ai bisogni dei cittadini. “La riforma delle camere di commercio, che scenderanno da 105 a 60 – ha sottolineato Sereni – rischia di calarsi in un paese che non c’è, dopo che il 4 dicembre 2016 il paese ha scelto di andare in una direzione diversa“.
Il capogruppo Pd Leonardo Marras ha ricordato che in tutta la Toscana le comunità locali travalicano i confini comunali. “Il sistema attuale è insufficiente rispetto alla domanda effettiva di servizi – ha affermato – Direi anche che c’è un deficit di democrazia, che deve essere recuperato”. A suo parere anche l’efficienza va misurata in maniera diversa. “Non è solo l’incentivo, o una maggiore efficienza, che sono alla base dell’esigenza di aggregare – ha sottolineato – Con la legge Del Rio, una realtà come quella toscana, che ha affidato molte funzioni alle province, oggi si trova di fronte ad un salto molto alto tra Regione e comuni. Un salto che non è possibile superare con oltre duecentosessanta comuni”. Da qui, a suo parere, la necessità di spingere verso le fusioni, promuovendo percorsi di partecipazione per coinvolgere le comunità prima dello svolgimento del referendum.
“Siamo alla ricerca di un nuovo approccio sul tema delle fusioni. Questa ricerca svolta sul territorio ci dà un quadro chiaro – ha rilevato il presidente della commissione Affari istituzionali Giacomo Bugliani nel suo intervento di chiusura – i benefici che possono derivarne sono molti e poco conosciuti sul territorio. Il mondo che muove l’economia è favorevole. Dall’altra parte c’è una resistenza di carattere spesso ideologico e talora politico. Il consiglio regionale deve continuare a dimostrare ai cittadini che le fusioni sono un beneficio, non solo in termini di semplificazione amministrativa, ma anche di vantaggio economico sul territorio”. A suo parere è però indispensabile avere un approccio corretto, che richiede il rispetto delle identità e delle volontà popolari. “La vera sfida – ha concluso – è saper comunicare ciò che di buono i percorsi di semplificazione amministrativa portano”.