Sindrome di down e omesso aborto terapeutico, una famiglia chiede un maxi-risarcimento per “false informazioni”: accolto il ricorso

Chiesti all'Asl Toscana nord ovest oltre 7 milioni di euro: la delicata vicenda torna in appello solo per stabilire il risarcimento

Sindrome di down e omesso aborto terapeutico, la Cassazione dice sì al danno per carenza informativa, laddove sia stata dimostrata. Torna a Firenze in secondo grado il contenzioso milionario tra una famiglia e l’Asl Toscana nord ovest.

Per un errore del medico, stando al resoconto processuale, una coppia ha ricevuto di fatto false informazioni sul nascituro che invece è nato affetto da sindrome di down, e l’impossibilità della scelta della madre di interrompere la gravidanza, proprio a causa della negligente carenza informativa, è fonte di responsabilità civile. Questo ha stabilito la suprema corte di Cassazione che ha accolto il ricorso dei genitori, e del ragazzo stesso, rinviando gli atti alla corte d’appello di Firenze che ora dovrà seguire i dettami degli ermellini nel complesso e delicato contenzioso contro l’Asl Toscana nord ovest, che da tempo comprende le vecchie Asl di Lucca, Pisa, Massa e Livorno.

Sia i giudici di primo grado sia i giudici di secondo grado avevano rigettato le richieste di risarcimento danni patrimoniali e non patrimoniali che la famiglia aveva quantificato in complessivi 7 milioni e 235mila euro, ma ora si dovrà tornare in corte d’appello per stabilire il quantum dovuto fondamentalmente dopo le decisioni motivate della suprema corte italiana.

“La valutazione della potenziale grave pericolosità, come condizione legittimante l’interruzione di gravidanza e presupposto per il sorgere del diritto al risarcimento del danno, deve essere eseguita con valutazione prognostica ex ante perché è mirata sulla gravità del pericolo cui è esposta la madre a causa dell’inaspettata notizia della infermità dalla quale risulta affetto il feto”, questo il nocciolo giuridico della vicenda che gli ermellini hanno spiegato bene in sentenza. La famiglia aveva proposto causa all’Asl chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza della non tempestiva diagnosi della sindrome di down di cui sarebbe poi risultato affetto il nascituro, causata dall’errata esecuzione di un test di screening prenatale da parte del medico in servizio presso l’ospedale in quei giorni e che aveva loro impedito di determinarsi e decidere sulla interruzione della gravidanza, previa una completa informazione sulle condizioni di salute del nascituro, “provocando così la nascita indesiderata del figlio”.

I legali della famiglia avevano allegato agli atti del processo tutta la documentazione dove risultava di aver eseguito due esami specifici, al fine di accertare l’esistenza o meno della sindrome di down, la traslucenza nucale e l’esame del sangue mirato, in data 23 e 24 aprile 2009, i cui risultati erano stati approfonditi mediante un esame statistico eseguito dal medico il quale, nell’inserire i relativi dati nel sistema informatico, in data 9 maggio 2009, aveva erroneamente indicato, come data di esecuzione della traslucenza nucale quella del 23 maggio 2009, in luogo della data effettiva del 23 aprile 2009. A seguito di ciò, sempre stando al resoconto processuale, la macchina aveva elaborato un risultato falsato rispetto alla realtà, indicando l’esistenza di una probabilità contenuta di presenza della sindrome di down, tenuto conto dell’età della gestante. Si legge in sentenza: “Sostenevano gli attori che, se fosse stata inserita la data corretta, la probabilità di anomalie genetiche calcolata dal sistema sarebbe stata molto più elevata, ed essi, ove ne fossero stati resi consapevoli, avrebbero senz’altro interrotto la gravidanza. Chiedevano quindi il risarcimento danni nei confronti della Asl Toscana nord ovest, che quantificavano in complessivi 7.235.000 euro”.

Per gli ermellini ogni ragionamento sul comportamento successivo alla nascita da parte della madre è fuorviante e non può essere preso in considerazione ai fini delle decisione definitiva sul caso. Spiegano infatti i giudici della Cassazione in sentenza: “Va segnalato in particolare l’errore di metodo in cui è incorsa la decisione impugnata: la valutazione sul grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna deve necessariamente essere frutto di una valutazione probabilistica ex ante, sulla base degli elementi di prova raccolti, e non può appiattirsi su una valutazione ex post. Il fatto che la donna non sia risultata affetta da una grave patologia depressiva dopo la gravidanza, e che sia stata comunque in grado di affrontare la situazione con determinazione e solidità, non esclude che potesse essersi verificato un grave pericolo per la sua salute psichica ex ante, nel momento in cui le è stato chiaro che la gravidanza a lungo attesa e circondata da ogni cura aveva avuto come esito la nascita di un bambino con un handicap permanente”. E infine la decisione: “Il secondo motivo del ricorso principale è dunque accolto, gli altri motivi rimangono assorbiti, il ricorso incidentale è rigettato; la causa è rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione”.

Il caso tornerà sul tavolo dei giudici fiorentini chiamati a rivedere le precedenti decisioni allineandosi alla sentenza della Cassazione. Una sentenza destinata a orientare anche altri casi simili in tutta Italia.