Contributi all’editoria percepiti in maniera irregolare: amministratore unico condannato a risarcire oltre 3 milioni di euro

Il caso si riferisce al periodo fra il 2007 e il 2010. Condannato anche un istituto di credito che acquistava copie in blocco in cambio di una sponsorizzaxione

Maxi condanna per una società editrice di quotidiani, da tempo liquidata. La suprema Corte di Cassazione, a sezioni unite, infatti, ha respinto il ricorso dell’amministratore unico contro la sentenza del 2019 della Corte dei Conti d’Appello. Il patron della società editrice che pubblicava diversi quotidiani in alcune province della Toscana, Lucca compresa, è stato condannato definitivamente a pagare oltre 3 milioni di euro, per illegittima percezione di contributi pubblici erogati negli anni dal 2007 al 2010, di fondi per l’editoria.

“La Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara il ricorso inammissibile”, si legge infatti in sentenza. Per i giudici contabili che avevano chiesto inizialmente ben 9 milioni di euro la società avrebbe percepito i fondi per l’editoria illecitamente, attraverso un escamotage, non distribuendo e vendendo le copie dei giornali oggetto del contenzioso, come prevede la normativa, ma facendole acquistare da un istituto di credito come sponsorizzazione. Scrivono i giudici: “Sostiene l’organo requirente che momento  essenziale ai fini della percezione dei contributi è l’effettiva distribuzione e vendita della testata giornalistica, laddove, nella fattispecie, le copie del giornale sono state distribuite gratuitamente, in quanto oggetto di un contratto di sponsorizzazione  stipulato con un istituto di credito. Viene in rilievo, infatti, ad avviso della procura regionale, un contratto pubblicitario a mezzo del quale il predetto istituto  bancario ha pagato una somma pari a venti centesimi per cinquecentomila copie recanti la stampigliatura omaggio;  sicché la causa del contratto differirebbe dalla vendita, posto che il  corrispettivo pagato non è stato pattuito in relazione all’acquisto dei  giornali, bensì alla pubblicità, mentre le copie non distribuite potevano essere mandate al macero”.

In sostanza, per i giudici, il contratto stipulato non  sarebbe altro che uno stratagemma per ottenere i finanziamenti per l’editoria e, al contempo, finanziamenti da parte dell’istituto di credito. “Ragione per cui, tenuto conto che i costi della distribuzione sono stati risparmiati e comunque non erano elevati, trattandosi di provvedere al mero deposito delle copie omaggio in appositi contenitori, non si è nemmeno realizzata una vendita in blocco”. Da ciò, secondo la corte dei Conti d’Appello, è conseguito il legittimo accertamento dell’antigiuridicità della condotta a carico dell’amministratore unico della società editoriale e, quindi, sarebbe derivata la prova dell’effettiva sussistenza del danno erariale, con riferimento all’indebita percezione dei contributi oggetto della domanda risarcitoria, quantificato in 3.110.481 euro, pari ad un terzo del danno accertato, dopo la defalcazione dei restanti due terzi in relazione alla corresponsabilità dell’istituto di credito (condannato anch’esso) che avrebbe cooperato per l’approntamento del meccanismo elusivo della normativa in questione, predisponendo contratti idonei a garantire la diretta acquisizione dei finanziamenti previsti in favore della casa editrice mediante una specifica delega all’incasso.

Il patron della società editoriale aveva fatto ricorso per Cassazione invocando una “invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore” ma i giudici di Piazza Cavour hanno dichiarato inammissibili le sue istanze e ora la condanna è divenuta definitiva con la pubblicazione della sentenza e relative motivazioni. Si legge chiaramente in sentenza: “Occorre, preliminarmente, osservare che, sul piano generale, è indiscusso che, in tema di sindacato della Corte di Cassazione sulle decisioni giurisdizionali del giudice contabile (così come di quello amministrativo), l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un’attività di produzione normativa che non gli compete. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile”.

Il rocambolesco e milionario caso giudiziario che ha coinvolto la società editoriale che ha percepito fondi in modo ritenuto illecito è chiuso definitivamente.

Sostieni l’informazione gratuita con una donazione

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di Serchio in diretta, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.