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Cronaca
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Coronavirus, la fase 2 non sarà un ritorno alla normalità

8 aprile 2020 | 16:30
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Coronavirus, la fase 2 non sarà un ritorno alla normalità

Dopo lo stop al lockdown totale occorrerà mantenere molte delle abitudini e dei modelli di comportamento dell’ultimo mese

No, non è un interruttore. Il meccanismo non è acceso/spento, aperto/chiuso. Non ci sarà un giorno in cui qualcuno dirà che si possono aprire le porte, alzare le saracinesche, abbracciarsi, andare a trovare i parenti e gli amici che non si vedono da tempo, fare colazione al bar, andare al ristorante, in pizzeria, al cinema o a vedere un concerto.
Non ci sarà, è bene iniziare a capirlo, un giorno in cui si passerà dallo #stateacasa all’#andatedovevipare.

Non per qualche complotto ordito chissà dove o per qualche motivo recondito. Ma perché il virus, seppur limitato nei suoi effetti, sarà sempre presente fra noi. E le modalità di contagio saranno le medesime: il contatto fisico con le mucose di occhi, naso e bocca, la vicinanza con altre persone che hanno contratto il virus, anche se asintoimatiche, il contatto con una superficie dove il virus è ancora attivo e il successivo contatto con occhi-naso-bocca. E i modi di evitare il contagio rimarranno anch’esse identiche: distanza, igiene approfondita personale e della casa, evitare i luoghi affollati.

Una questione che, almeno finché non si troverà un vaccino o una cura che renda meno pericoloso il virus, soprattutto per la popolazione anziana, ci costringerà a convivere con alcuni comportamenti che abbiamo imparato a conoscere nei giorni della quarantena. E che diventeranno presto regole di comportamento e buona educazione, nonostante qualcuno abbia già allentato, al calare dei contagi, le necessarie attenzioni.

Un cambiamento di paradigma che avrà notevoli conseguenze nelle attività dei singoli e delle aziende. Non sarà certo l’iniziativa spot (perché di questo si tratta, se gestita come fino ad ora) delle mascherine obbligatorie nei luoghi pubblici, a limitare il contagio. Lo potrà fare, invece, una rivoluzione nel mondo del lavoro e della socialità.

Nessuno pensi che, almeno in breve tempo, ci potranno essere serate affollate nelle discoteche con giovani ammassati al centro di una pista o ristoranti con tavoli collocati ovunque c’è uno spazio, a maggior ragione perché c’è da recuperare un fatturato perduto. Lo stesso dicasi per i bar, per i negozi di qualunque tipo che hanno a disposizione uno spazio limitato, per gli stadi e i campi sportivi, per le manifestazioni culturali di qualunque genere.

Tante le cose a cui pensare fin da subito. Innanzitutto sul lavoro, dove saranno comunque da privilegiare, laddove possibile, le formule di lavoro a distanza e dove si dovranno allestire con tutta probabilità nuovi sistemi sia per l’igienizzazione degli ambienti sia per la sicurezza dei lavoratori (distanze fra le postazioni, separatori in plexiglass per chi è al pubblico, sanificazione frequente dei pavimenti, delle scrivanie e dei device utilizzati). E ovviamente sarà necessario attivare lo stop ai dipendenti che condividano uno spazio di lavoro e che abbiano sintomi che vanno da un leggero raffreddore in su.

Nei supermercati la coda per entrare diventerà, con tutta probabilità, un’abitudine cui non faremo più particolarmente caso e le modalità della spesa pronta da ritirare o della consegna a casa, se meglio organizzate nella logistica, potranno bypassare il problema delle attese o del servizio per anziani e bisognosi. E i piccoli produttori locali potranno in qualche modo averne qualche beneficio se riusciranno a organizzarsi nella vendita e consegna diretta di quanto coltivato.

Locali, bar, ristoranti, cinema e teatri, almeno per una prima e lunga fase transitoria dovranno rinunciare a più di qualche coperto o posto a sedere per garantire la distanza di almeno 1 o 2 metri richiesto dall’Oms per limitare i contagi. Questo significherà che con tutta probabilità sul mercato avranno la meglio coloro che affiancheranno il servizio nel locale a quello a distanza, coloro che opteranno per la vendita anche on line oltre che nell’esercizio commerciale, favoriti dalla tecnologia che ha sicuramente accorciato le distanze fra il commerciante e il cliente.

E le stesse attività culturali dovranno garantire parte della loro offerta in remoto, con streaming, anche a pagamento, per portare nelle case in diretta un evento live che sarà dedicato a meno pubblico in sala.

Con tutta probabilità dovranno stabilmente cambiare anche i rapporti con i medici di famiglia e quelli di continuità assistenziale. Anche la telemedicina o comunque il rapporto a distanza con il proprio medico, salvo casi gravi e urgenti, dovrà trovare maggiore spazio rispetto all’attività ambulatoriale e si dovrà continuare a tenere basso l’accesso alla medicina d’urgenza e al pronto soccorso proprio come avvenuto nei mesi dell’emergenza coronavirus.

Un ricorso sempre maggiore agli strumenti tecnologici, con adeguata formazione anche alle persone più anziane, dovrà rendere fruibili in remoto anche (come già possibile anche adesso, per gran parte) gli sportelli delle poste e delle banche, gli uffici pubblici dove ottenere certificazioni, atti e documenti.

Lo stesso rapporto con l’amministrazione pubblica, anche politica, dovrà essere garantito con mezzi che non implichino la presenza di molte persone nello stesso luogo: e quindi commissioni e consigli comunali in streaming in diretta e/o in differita e un rapporto facilitato e più veloce anche con la parte politica dei cittadini.

Tutto questo dovrà ovviamente essere accompagnato da un sostegno al cambiamento nelle politiche pubbliche. Che non deve significare, almeno non soltanto, finanziamenti e denaro o garanzie per i prestiti, utili nella fase emergenziale, ma anche formazione 3.0, rafforzamento delle infrastrutture, dei servizi e delle reti internet. Un accompagnamento al cambiamento dei modelli di produzione e distribuzione che non sia solo utile ad affrontare questa pandemia ma, eventualmente, future emergenze (il Covid-19, va ricordato, è la quarta epidemia del millennio iniziato da soli 20 anni).

Perché non è un interruttore: non è acceso/spento, aperto/chiuso ma un cambiamento epocale di comportamenti e punti di riferimento. Destinato a cambiare abitudini, costumi, processi e organizzazioni.Attrezzarsi per tempo, invece di vaticinare ritorni alla ‘normalità’ o parlare di presunti complotti internazionali o di colpe dei governi e dell’Europa, spesso per mero tornaconto personale o per mancanza di visione generale, potrebbe essere di maggiore prospettiva.